venerdì 4 aprile 2025

SORPRESA A BARCELLONA 13° CAPITOLO

 Scritto interamente da Zorzella Fernando

Presentato a puntate qui su face book.

Tutto nel romanzo è inventato e frutto di fantasia.

Il romanzo è dedicato a Mia Moglie Francesca.

DIVIETO ASSOLUTO DI COPIARLO O RIPRODURLO

TESTO:

13° CAPITOLO

Tu mi baci davanti a tutti.

Francesca: “Penso che una prova d’amore così, voglia dire molto o no?” 

Fernando: “Certo.”

Francesca: “Che ne dici, finito il ballo ce ne andiamo a fare una passeggiata?” 

Fernando: “Dove?”

Francesca: “Su nel balcone?” 

Fernando: “Lo sai ho scoperto un altro posto.”

Francesca: “Dove?” 

Fernando: “Al 7° piano, lato mare, c’è una terrazza, non c’è nessuno e non ci va nessuno, perchè non c’è il bar, e quindi è poco appetibile.”

Francesca: “Prendiamo una bottiglia di Porto e ce ne andiamo io e te da soli.” 

Fernando: “Prendi i bicchieri ed io la bottiglia.”

Francesca: “Prendiamo due bottiglie una per me e una per te e ce le beviamo assieme.” 

Fernando: “Ogni uno la sua?”

Francesca: “Certo.” 

Fernando: “Ma con i bicchieri, però. Non facciamo i buzzurri.”

Francesca: “Ok, ci sto.”

Vado al bar e prendo le bottiglie, mentre tu mi attendi vicino agli ascensori.

Ci guardiamo intensamente, mentre l’ascensore sale velocemente.

Le porte si aprono, alcune persone salgono nell’ascensore, mentre noi usciamo.

Fernando: “E’ in questa direzione.”

Francesca: “Non me ne sono mai accorta.” 

Fernando: “Non è il nostro piano e quindi non lo frequentiamo.”

Alcuni passi ed arriviamo.

La zona è chiusa da una grande vetrata, entriamo grazie ad una porta automatica.

E’ un grande balcone di almeno 10 metri di lunghezza per 5 di larghezza, arredato con tavoli e poltrone di vimini, molto comodi.

E’ un luogo spartano di per sè, utile per la meditazione, guardare il paesaggio e sorseggiare un vino o un liquore.

Fernando: “Accomodiamoci qui, ti va?”

Francesca: “Certo.” 

Fernando: “Apro una bottiglia alla volta che dici? Non facciamo i cafoni.”

Francesca: “Faccia come dice lei mio cavalliere.”

Apro una bottiglia e la verso nei bicchieri. 

Fernando: “A lei mia regina.”

Francesca: “Grazie. ……………… Allora siamo intesi, vero, non fai lo stronzo tornati a Milano, vero?” 

Fernando: “No non lo faccio.”

Francesca: “Questo è il mio numero di telefono, te l’ho scritto per ricordare.” 

Fernando: “Me lo memorizzo subito Francesca.”

Francesca: “Hai avuto un bel coraggio prima, in salone.” 

Fernando: “Ho fatto quello che il cuore mi diceva, ne sentivo l’esigenza.”

Francesca: “Ne sentivi l’esigenza?” 

Fernando: “Si, ne sentivo l’esigenza di dire a tutti che ti amo e ti desidero, non so come farò quando torniamo. Io non voglio perderti, ma sono sicuro che devo dividerti con un altro.”

Francesca: “Quando ci provi con una donna sposata è così, ma io co sono.”

Tu ti porti in avanti con il busto e mi prendi la mano stringendola delicatamente. 

Francesca: “Ci sono veramente Fernando.” 

Fernando: “Io non voglio farti mancare il mio amore.”

Francesca: “Usiamo quel bel sdraio la?” 

Fernando: “Ma si sta comodi?”

Francesca: “Proviamo.”

Si tratta di uno sdraio in legno, con un materassino che sembra confortevole.

Tu ti sdrai a pancia in su, io mi metto di lato vicino a te.

Su un tavolino li vicino sistemiamo il vino ed i bicchieri. 

Fernando: “Vuoi un sorso?”

Francesca: “Ce la fai a versarlo e passarmelo?” 

Fernando: “Certo, nessun problema.”

Beviamo un pò, poi tu posi il bicchieri e mi dai un bacio.

Le nostre bocche si incollano, mi prendi il bicchieri e lo posi, poi automaticamente ci abbracciamo e rimaniamo li a godere del momento.

Tutti e due siamo sparati in un sogno, sono riuscito a conquistarti ed aprire le porte del tuo cuore, sono riuscito a farti capire che posso darti molto.

Le bocche si staccano.

Fernando: “Ti amo Francesca.”

Francesca: “Anche io. …………. Ti ho giocato un piccolo scherzetto.” 

Fernando: “Quale?”

Francesca: “Non c’è nessun semaforo rosso.”

A me esplode un sorriso a 32 denti. 

Fernando: “Ci sono cascato.”

Francesca: “Si, ci sei cascato. ………… Secondo te io vengo in ferie sapendo che mi deve arrivare il ciclo?” 

Fernando: “Non ciò pensato.”

Francesca: “Adesso che lo sai cosa vuoi fare?” 

Fernando: “Quello che vuoi tu.”

Francesca: “In camera mia o tua?” 

Fernando: “In camera mia.”

Francesca: “Si dai, in camera mia c’è ancora disordine per il cibo che abbiamo consumato.”

Passiamo la notte assieme ed il giorno dopo andiamo a passeggiare per Barcellona.  

E’ una città bellissima e da innamorato è ancora più bella.


VENNE IL GIORNO 13° CAPITOLO

 Scritto interamente da Zorzella Fernando

Presentato a puntate qui su face book.

Tutto nel romanzo è inventato e frutto di fantasia.

DIVIETO ASSOLUTO DI COPIARLO O RIPRODURLO

TESTO:

13° PUNTATA

Si! A molte miglia marine dalla Libia da una barca privata si stava staccando un gommone con a bordo Jerard, un giornalista d’assalto francese che aveva scommesso il tutto per tutto per riuscire a realizzare un vero scoop sensazionale su ciò che stava succedendo in Libia.

Finanziato da una serie di testate giornaliste di controinformazioni, aveva pagato il privato che lo aveva accompagnato fino li in barca, aveva comprato un gommone piccolo e veloce e aveva fatto un po’ di scuola di guida in mare aperto.

Si, perché per arrivare alla spiaggia in cui Jerard voleva ammarare ce n’era di mare da navigare. Le onde alte ed impetuose non lo fermarono, comunque, e sicuramente tutto bagnato, ma sano e salvo riuscì a raggiungere la costa più vicina a Tripoli.

Abbandonato il gommone, senza lasciare tracce che potessero condurre a lui, con la sola forza delle sue gambe si diresse verso la città, e grazie a vari passaggi riuscì ad andare davanti la casa di un amico che conosceva da tempo.

Vedendolo questo amico, capì subito che Jerard aveva fatto una pazzia, così lo accolse subito in casa, lo fece asciugare, vestire con abiti freschi ed asciutti e lo rinfucillò.

Sapendo che Jerard era un giornalista era chiaro capire cosa era andato a fare, così l’amico si rese disponibile a spiegare tutto quello che succedeva e a nasconderlo in caso di bisogno.

Jerard fu subito investito di notizie fresche.

I Libici non sapevano esattamente chi fosse questo Vancovar, ma lo  apprezzavano. I più pensavano che fosse finanziato dagli americani.

L’operazione di pulizia delle strade dalla violenza stava funzionando veramente, le rappresaglie e le scorribande venivano sedate velocemente, i tumulti del popolo, ormai quasi inesistenti e stavano scomparendo anche i capi dei terroristi delle varie fazioni contro il Rais.

La Libia, seppur con una certa violenza cominciava veramente a migliorare.

Si! Quello che comunque alla gente non andava tanto giù era la violenza con cui questo esercito interno formato da Libici e da soldati che non erano di certo Libici, andavano giù un po’ troppo pesante.

Tanto che le persone fermate e accusate di qualsiasi reato, piccolo o grande che fosse, sparivano. Si!! Avete capito bene sparivano e non se ne sapeva veramente più niente.

Jerard pensò che magari si trovavano in un carcere di massima sicurezza, ma la risposta dell’amico fu negativa.

Chi veniva preso spariva.

La gente sana e comunque chi non creava problemi si ritrovava in mano sempre più soldi da spendere, soldi che non erano derivanti solo dai lavori che venivano svolti.

Certo, anche il lavoro era aumentato, ma la quantità di soldi in circolazione non era normale. L’amico di Jerard parlò anche dei mastodontici lavori che si stavano facendo ai confini della Libia. 

Erano iniziati gli scavi per quello che a tutti gli effetti sembrava un futuro bacino di acqua, un lago artificiale che avrebbe dovuto correre lungo tutto il perimetro della Libia.

Ma per metterci dentro cosa?

A cosa poteva servire un canale che avrebbe permesso la navigazione anche a piccole chiatte? Se serviva per l’acqua da dove sarebbe arrivata tutta quella acqua visto che la Libia non aveva fiumi o torrenti che potesse alimentarlo.

Jerard, attese con pazienza l’arrivo di un nuovo giorno, e poi ben riposato e vestito con abiti del posto, si mise a passeggiare per Tripoli per vedere con i suoi occhi piccoli scorci del cambiamento.

Non fece domande a nessuno.

Entrava nei bar e ascoltava la gente che parlava tra loro, passeggiava lentamente per scoprire cosa poteva dirsi le varie persone e se trovava un qualche gruppo di Libici che dialogava animatamente a voce alta, rimaneva li ad ascoltarli.

Ad un certo punto si imbatte in una pattuglia di militari mista Libici – Allieni. Naturalmente i Libici non sapevano la vera natura dei colleghi.

Jerard notò subito, la differenza della grossezza e la possenza del fisico dei militari allieni. 

Erano veramente prestanti rispetto i normali militari Libici.

E le armi in ordinanza erano diverse.

Gli alieni avevano armi modernissime rispetto ai libici.

Rimanendo li ad osservare, notò che ad un certo momento, salirono velocemente nella loro camionetta e corsero via veloce.

Così, Jerard, che aveva intenzione di vederci bene dentro, prese una moto lasciata incustodita con le chiavi inserite nel cruscotto e corse dietro ai militari.

Questi arrivarono ad una banca, dove era in corso una rapina.

La gente all’esterno, era tutta accalcata lontano dalla banca per osservare ciò che stava succedendo.

Questo era il momento per Jerard di fare qualche foto.

Infatti, grazie ai vetri trasparenti della banca si vedeva bene tutto, ma soprattutto si vedevano bene i fasci luminosi che partivano dai fucili e dalle pisto dei militari non Libici.

Non erano di certo armi convenzionali.

I sequestrati furono tutti liberati e i militari riuscirono a prendere anche questi ladri che presero e fecero salire sulla loro camionetta.

A questo punto Jerard li seguì ancora, sicuro che sarebbero andati al più vicino carcere di Tripoli. ……………. Invece No!

I Militari uscirono da Tripoli in direzione Sabha, una città in pieno deserto.

Sicuro di volerci vedere bene fino in fondo, Jerard continuava a seguirli, fino a quando il portellone posteriore della camionetta si aprì e cominciarono a sparare delle vere e proprie mitragliate laser, verso Jerard.

Spaventato, prese e frenò la moto subito. Impossibile quello che aveva visto.

Sembrava di aver assistito a una di quelle sparatorie che si vedevano nei film di Star War quando i soldati si sparavano tra di loro.

Jerard fotografò bene tutto, soprattutto la terra dove erano caduti questi fasci laser che appariva bruciata.

Ma da dove venivano armi del genere?

A questo punto desistette e se ne ritornò indietro verso casa, per oggi si era esposto molto.

Nei giorni che seguirono, Jerard, cercò di essere presente, tutte le volte in cui pubblicamente Vancovar, si faceva vedere in pubblico e si concedeva alla folla, rimanendo sbalordito nel vedere che la gente lo acclamava e che le persone più vicine cercava un contatto fisico con lui, magari stringendogli una mano o cercando un abbraccio, quasi come se fosse un amico.,

La gente riconosceva in Vancovar la loro guida.

Una guida che era effettivamente a tutti gli effetti saltata fuori dal nulla.

Siccome, però, parlava al cuore della gente, parlava di lavoro, di sviluppo, di rinascita di una nuova Libia per la gente onesta e per i Libici che guardano al futuro, la gente lo amava.

Si lasciava anche scappare discorsi legati al fatto che in tempi non lontani a nessuno sarebbe mancato di che vivere bene senza l’uso del denaro.

Una società senza denaro? Ma come era possibile?

A Jerard tutto questo puzzava molto, più di un pesce in putrefazione.

Per cominciare c’è da dire che nessuno ottiene un clima del genere in uno stato del genere senza una repressione cruenta e sanguinosa.

Quindi, se tutte le persone pericolose prese fossero dentro i carceri, ci saranno stati i carceri pieni. Con grossi problemi di sicurezza, di vivibilità.

Sicuramente all’interno dei carceri chissà quali terribili torture avranno dovuto subitre i carcerati. Così decise di andare, proprio al cercere di Tripoli per vedere la situazione.

Arrivato davanti al carcere, lo osservò dall’esterno, cercando di capire se dall’interno provenissero rumori o cosa.

Il problema che da subito saltò all’occhio che: davanti al carcere non c’era nessuna guardia, le finestre fronte strada avevano tutte le luci spente, e la cosa più strana è che non si sentiva volare una mosca all’interno.

Così si recò al portone d’ingresso, che si trova in un lato diverso da dove si era fermato lui, e lo trovò aperto.

Aperto?

Il portone di un carcere completamente aperto? Ma cosa stava succedendo?

Sicuro che si sarebbe preso una fucilata nel petto, ma con il desiderio di capire cosa stava succedendo tipica di un giornalista d’assalto a passi felpati, uno dopo l’altro, entrò da quel portone.

Passo dopo passo ad un certo punto si rese conto che era al centro del cortile del carcere e non era stato fermato da nessuno.

Nessuno di nessuno.

Il carcere sembrava vuoto.

Con la stessa lentezza si avvicinò ad una porta che permetteva l’entrata effettiva alla struttura e vi entrò.

Ora era certo se qui ci fosse stato qualcuno era morte sicura. Invece, niente.

Nessuno di nessuno.

Cominciò allora a prendere coraggio e si mise a girare le varie stanze, una dopo l’altra, corridoio dopo corridoio, tutto era vuoto.

Vuoto e ben tenuto anche. Ma dove erano andati tutti?

La popolazione carceraria dove era andata? Dove era stata portata?

Occorreva assolutamente vederci chiaro.

Uscì di tutta fretta e se ne andò a casa dell’amico a raccontare tutto.

Ora, se tutti i carcerati fossero stati portati in una struttura lontana dalle città, in zona desertica, di sicuro ci sarà in mezzo al deserto questa struttura.

Quindi, decise che all’indomani sarebbe ripartito percorrendo la strada fatta qualche giorno prima dalla camionetta che aveva inseguito per capire bene dove andava.

Si preparò bene per il viaggio, perché portò via quantità di benzina sufficiente per non rimanere a piedi con la moto e generi di prima necessità per affrontare bene il deserto.

Preparato tutto all’indomani, partì alla buonora.

Viaggio veloce con la moto, sicuro che prima di sera avrebbe avuto delle risposte in mano.

I Km passavano inesorabilmente sotto le ruote, le ore passavano ed il deserto non è un ambiente ospitale.

Possibile che non si arrivasse mai? Possibile?

Eppure era quella la direzione tenuta dalla camionetta.

Era stanco, seppur ogni tanto si fermasse le forze gli stavano mancandon finchè …………………..

Una brusca frenata lo svegliò dal torpore che lo stava attanagliando e ciò che vedeva lo spaventò. Un senso di paura lo prese.

Una mano sembrava che lo stringesse al collo.

Davanti a lui c’era un canale talmente grande che dire “grandissimo” non rendeva l’idea. Era grande, era profondo.

Era indescrivibile.

Lungo tutto il canale dal lato dove non si trovava Jerard c’era una montagna di terra e sabbia altrettanto incredibile.

Ci potevano navigare dentro delle navi, ma che dico navi le petroliere da quanto era grande, ma senza tante difficoltà.

A piccoli passi Jerard, si avvicinò sempre di più e noto, un’altra cosa incredibile, ovvero che le pareti di questo canale erano cementificate.

Una cosa impressionante, questa gente, stava realizzando in pieno deserto un canale cementificato di dimensioni, si può dire bibliche, veramente assurdo.

Ancora, si notava che sul fondo già l’acqua stava affluendo nel canale, ma da dove? Da dove sarebbe arrivata tutta questa acqua?

Jerard, ancora una volta, con un zaino pieno di quesiti a cui dare risposta prese la moto e rifece la strada del ritorno per ritornare dal suo amico. 

In una Libia, completamente chiusa a riccio, dove non arrivava più niente dall’esterno, e dove perfino i vari rappresentanti diplomatici delle varie nazioni erano stati fatti uscire dal territorio, per gli abitanti di Tripoli, destò scalpore l’arrivo in sordina di una delegazione italiana.

Delegazione, che non si capì bene, da dove e come era arrivata, si sapeva solo che era un’azienda italiana con cui la Libia avrebbe molto collaborato.

Jerard, molto interessato alla cosa, cercò di capire cosa stava succedendo, e riuscì ad arrivare all’albergo preciso dove Vancovar avrebbe dovuto ricevere Nicola ed i suoi.

L’albergo, però, era super sorvegliato dalle guardie di Vancovar, quindi i vari colloqui avvennero in un cllima di massima segretezza.

Attorno ad un tavolo, Nicola e Vancovar dialogarono.

Vancovar: “Siamo qua Nicola, per quello che sarà la nostra prima riunione ufficiale! Da oggi tu hai una responsabilità enorme, perché sarai l’unico vero rappresentante terrestre con cui io arriverò a patti. Sei pronto per questa missione?”

Nicola: “Si! Vancovar! Abbiamo creato una società, che sarà a sua volta la rampa di lancio per la creazione di un partito per poi andare a comandare il mio stato.”

Vancovar: “Se perderai, io non risparmierò l’Italia. Hai una unica change da giocarti. Sono qui per diventare il padrone del mondo intero e non di una parte sola. Ma ti lascio la possibilità di giocarti una vera partita per la sopravvivenza della tua libertà.”

Nicola: “Come ti ho detto noi siamo pronti.”

Vancovar: “Mi hai detto che ti servono soldi per provarci. Quanti ne vuoi?” Nicola: “20 milioni di euro al mese.”

Vancovar: “Hai intenzione di giocare sporco?”

Nicola: “Andare a capo di una nazione non è uno scherzo, la posta in gioco è molto alta.” Vancovar: “Pensaci tu, a me i soldi non servono, come non serviranno alla nuova Libia, te ne do quanti vuoi.”

Nicola: “Ok!”

Vancovar: “Guarda però, che se mi giri le spalle sarò implacabile.”

Nicola: “”Voglio essere libero, io e la mia gente, so bene che non devo fare passi falsi con te.” Vancovar: “Mi raccomando.”

Nicola: “Dove sono i documenti da firmare?” Vancovar: “Eccoli qua.”

Nicola firmò, e Vancovar diede ordine di avviare per procedure per spostare una prima trance di soldi nel conto corrente della società di Nicola.

Formalmente, la società di Nicola avrebbe fornito consulenza di vario tipo al governo Libico, in realtà era solo un contratto fantoccio, per giustificare al mondo le somme di denaro che la Libia avrebbe versato alla società di Nicola.

Nicola: “Anche se ho visto poco, la Libia sta cambiando. Prosegui su questa strada e vedrai che conquisterai un mondo migliore di come lo hai trovato al tuo arrivo.”

Vancovar: “Gli americani sono dei bastardi di prima categoria, so che stanno cercando di fare tutto in loro possesso per far entrare in Libia le loro spie. Se mi rompono troppo le scatole saranno puniti severamente.”


RIVOLUZIONE 13° CAPITOLO

 Scritto interamente da Zorzella Fernando

Presentato a puntate qui su face book.

Tutto nel romanzo è inventato e frutto di fantasia.

DIVIETO ASSOLUTO DI COPIARLO O RIPRODURLO

TESTO:

13* CAPITOLO

Trasferiamoci ora a Pegognaga, dove la vita proseguiva indisturbata e dove Filippo e Angelica si integravano sempre più nella comunità.

La vita sembrava si fosse fermata, li si pensava di più alle cose primarie fondamentali della vita.

Avevano superato la crisi della catastrofe utilizzando la natura a proprio favore, quindi non solo per mangiare, ma anche per curarsie per tutte le attività della vita.

Praticamente avevano fatto un salto indietro nel tempo, cosa che aveva aiutato molto, reagendo in un modo completamente diverso a Genesi.

Filippo stava lavorando con Franco e altri alla costruzione di nuove case perché chi voleva chi voleva aggregarsi avrebbe dovuto trovarsi subito una sistemazione confortevole per integrarsi meglio.

Franco: “Filippo come ti sembra vivere qui? C’è differenza o no con Genesi?”

Filippo: “Certo che ci sono differenze. Voi avete cercato di sistemarvi meglio da subito costruendo case di legno, noi invece abbiamo preferito le tende, voi a Genesi fareste molto bene e portereste una ventata di innovazione.”

Le ore di lavoro trascorrevano, e ad un certo punto, Franco mentre lavorava scivolò e cadde dal tetto da un’altezza di tre metri e nell’impatto con il suolo si ferì la gamba con una sega, procurandosi un profondo taglio sulla coscia.

Filippo urlando saltò giù dal tetto e chiamò aiuto.

Accorsero in tanti e sdraiando Franco su di un’asse di legno lo portarono di corsa dal Dott. Peter ed arrivati lasciarono lavorare il Dott. Peter per una buona ora abbondante.

Uscito il Dottore dal suo ambulatorio disse: “Franco ha subito un’importante taglio alla coscia destra, ho dovuto suturare muscolo e cute. E’ stato un bravo paziente. Penso di aver fatto un buon lavoro, lo terrò qui in infermeria sotto antibiotici per evitare infezioni.”

Fabrizio: “C’è la possibilità che insorgano infezioni?”

Dott. Peter: “Non dovrebbero esserci problemi, ma voglio essere sicuro, vorrei inoltre che stese proprio a riposo.”

I lavori terminarono, dopo l’infortunio di Franco, molti andarono a trovarlo, dando da fare al Dottore per cercare di tenerli lontani o almeno farli entrare per poco tempo.

Franco e Maurizio erano dei gran lavoratori ed erano ben voluti in comunità, infatti è anche grazie alla loro intraprendenza, disponibilità e capacità di coinvolgimento.

Il giorno dopo a Genesi di mattina presto si era riunito il consiglio per discutere vari punti.

Elena: “Le operazioni per far entrare e sistemare adeguatamente le cittadine di Prima Donna sono un vero lavoraccio, non si sa quando finiranno.”

Bruno: “Per fortuna che hanno fatto un vero e proprio trasloco portandosi più materiale possibile. Piano piano le stiamo facendo entrare.”

Alfred: “E’ vero non sono comunque senza riparo, quindi non c’è fretta.”

Elena: “Io ho rilevato alcuni problemi, ovvero, ci sono pochi bagni, poche docce e la zona ristoro è troppo piccola.”

Jenny: “Elena, non preoccuparti, sono tutti problemi prevedibili, pianificate con calma tutto, senza spaventarvi.”

Si discusse a lungo su questi problemi e si trovarono tutte le soluzioni.

Jenny: “Un’altra cosa mi preme, ……. I 4 ragazzi arrestati sono stati ascoltati o non ancora?”

Andrea: “NO non sono ancora stati ascoltati, ma vengono trattati molto bene.”

Alfred: “Volevamo capire se volevi interrogarli tu Jenny.”

Jenny: “Ok, dalle sbarre della cella hanno visto Gianni per caso? Non vorrei che lo riconoscessero e non creino problemi.”

Alfred: “Riguardo a questo loro non hanno visto Gianni, ma io ho fatto vedere loro a Gianni e ha detto che non li ha mai visti, sicuramente facevano parte di un altro gruppo.”

Jenny: “Dobbiamo tener presente che è assodato che non esisteva solo la comunità di Rovigo, degli Orsi Neri, ma anche a Padova, quindi possiamo dire di non sapere esattamente quanti sono.”

Alfred: “Dobbiamo stare in allerta ……. Per questo ho detto ai ragazzi di Guardia Legnago di tenere gli occhi bene aperti. ……… Meglio se si aumentasse il numero di soldati da 20 a 100 e se si dotassero di maggiori armamenti.”

Si discusse molto anche su questo argomento e molta fu la paura di trovarsi immersi in un’altra battaglia.

Jenny: “State calmi …… State calmi …… dobbiamo sentirci tranquilli, William sta vigilando per bene e l’idea di aumentare il contingente a Guardia Legnago è di sicuro una buona idea.”

Bruno: “Su quei uccellacci che sono stati visti volare sopra il convoglio cosa sappiamo?”

A questo punto entrò William e si intromise nella discussione.

William: “Che sono spaventosi. C’è da dire che anche su questo ci potranno dire qualcosa i 4 ragazzi che abbiamo in gabbia.”

Fabrizio: “Allora rimandiamo tutto a quando li avremmo interrogati.”

Usciti dalla riunione William aveva un po’ di tempo libero e così decise di fare 4 passi per la comunità scambiando un po’ di chiacchiere di qua e di la.

Incrociò Sirena: “Ciao William!”

William: “Ciao, come te la passi?”

Sirena: “Bene, c’è molto lavoro da fare, …….. Jenny è stata molto gentile, e ha detto che quando ci saremo sistemati per bene, farà richiesta al Consiglio di far entrare anche me in consiglio.”

William: “E’ un’ottima idea, Jenny sa sempre come comportarsi, ecco perché qui la adorano tutti quanti.”

Sirena: “Ti va di venire a vedere come mi sono sistemata?”

William non immaginava che lei fosse attratta da lui, così la seguì.

Arrivati alla tenda entrarono e quando fu tutto chiuso, Sirena, lo prese di sopravvento e lo baciò.

Lui si staccò subito, la scostò e uscì subito dalla tenda.

Sirena dentro di lei disse: “Prima o poi sarai mio William, non hai niente da condividere con la tua Luisa.”

Lui corse da Luisa che si trovava nella zona bagni per le pulizie, raggiunta la prese e la sollevò giurandole etero amore. 

Lei le disse allora: “Speriamo che stanotte tu abbia la stessa irruenza che hai ora.”

Il giorno dopo Jenny, Bruno e William andarono dai 4 prigionieri per fare quattro chiacchiere.

Arrivati e messi comodi i 4 ragazzi cominciarono ad insultare pesantemente la comunità e tutta la gente.

Jenny con forza disse: “Ora basta, siete stati trattenuti perché la vostra gente ha mosso guerra verso una comunità di donne, che per quanto non fossero indifese, andavano comunque protette. Invece di farci la guerra in questo momento dovremmo essere tutti uniti e collaborare. Visto questo vi abbiamo trattenuti perché non volevamo che voi diceste ai vostri capi la nostra posizione. ………. Come vi chiamate?”

Germano, uno dei 4, il più nervoso disse: “Vi interessa sapere come ci chiamiamo? Che ve ne frega? Voi difendevate quelle puttane ingiustamente. ……….. La società deve andare avanti e deve rinascere e loro si devono sottomettere e fare le donne. ………. Voi non lo pensate così?”

Jenny: “Farò finta di non aver sentito ………….” Ma venne subito fermata da Bruno che aggiunse: “Ma che castroneria dite? Quanti anni avete?”

Germano: “20 io.”

Fabrizio: “Ok abbiamo capito che tutti voi uomini della comunità avete maturato questa idea perversa.”

Alessio, uno dei 4 aprì bocca prendendo coraggio: “Che sarà di noi ora? Non abbiamo fatto niente di male a voi e non ne volevamo fare, noi non siamo neanche soldati.”

Enrico un altro del gruppetto: “Noi facciamo parte di quelle famiglie che si sono uniti agli Orsi Neri perché erano la comunità più vicina.”

Jenny: “A sentire il buon Germano, non sembra che siate così tranquilli. ……… Per ora rimanete qui rinchiusi, vi tratteremo bene e se sarete disponibili a collaborare andrà ancora meglio.”

Alessio, Enrico e Simone dissero: “Come possiamo essere di aiuto?”

Jenny: “Ogni tanto vi verremmo a chiedere qualcosa sugli Orsi Neri e se ci risponderete vi daremo modo di stare in mezzo a noi………. Sarete comunque controllati a vista perché non dovrete lasciare Prima Donna.”

Jenny e gli altri del consiglio riscossero l’approvazione dei 3 tranne quella di Germano che rimaneva ancora nelle sue posizioni.

Thomas e Giuly stavano riordinando il materiale bellico ed insieme agli altri aggiornavano l’elenco di tutto il materiale rimasto.

Thomas: “Cavoli non è che siamo messi bene con le armi. La guerra a Prima Donna ci ha svuotato per bene.”

Giuly: “Non dovrebbero esserci guerre, ma accordi tra comunità, questo disastro ci ha divisi tutti, è un casino.”

Thomas: “Si, quando ci sono catastrofi ci sono sempre individui che pensano di dettare la propria legge, e a noi è proprio mancato lo stato.”

Giuly: “Non ci possiamo fare niente, ci servono armi, quindi occorre trovare posti dove possano esserci ancora. Depositi militari per esempio.”

Thomas: “Finiamo l’inventario e poi andiamo a portare il nostro lavoro a William.”